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giovedì 12 febbraio 2015

IL CARING DOPO IL REFERENDUM

Il 6 febbraio TELECOM, dopo averlo comunicato in un apposito incontro con le Segreterie Nazionali, ha emanato un comunicato stampa con cui, prendendo atto dell’esito negativo del referendum, dichiara l’avvio di ‘una razionalizzazione delle sedi territoriali di Caring Services, con la chiusura di alcuni presidi territoriali e la costituzione di una distinta società per l’erogazione dei servizi di caring alla clientela.
Il 18 febbraio è previsto un altro incontro tra TELECOM e Segreterie Nazionali.

COSA VOGLIONO FARE?

L’azienda ha comunicato di voler procedere alla creazione di una new.co sul modello già seguito in occasione della societarizzazione dell’informatica quando fu costituita l’attuale TI.IT. In sostanza significa che verrà creata una società ad hoc in cui confluiranno tutte le attività svolte nella Divisione Caring con i relativi lavoratori. Quindi non ci sarebbe un contratto d’appalto tra Telecom e la new.co (con il conseguente problema di una data di scadenza dello stesso) ma la nuova società sarebbe depositaria in prima battuta di tutte le attività di caring di Telecom (per intenderci sarebbe la nuova società a gestire gli appalti con Telecontact e gli outsourcer stabilendo quanto e quale lavoro eventualmente debba essere dato all’esterno). Come previsto dalla legge (Art. 2112 del codice civile) non ci sarebbe alcuna decurtazione a livello di salario (nemmeno i ticket) e, sempre secondo il modello TI.IT che l’azienda ha detto di voler seguire, non vi sarebbe nessun impatto sui vari istituti contrattuali (Telemaco, Assilt ecc). Per quanto riguarda la questione delle sedi in chiusura l’azienda da un lato ha scritto nel comunicato di voler procedere con quanto stabilito il 27 marzo (chiusura di 47 sedi), dall’altro ha detto (nell’incontro con le Segreterie Nazionali) che si tiene le mani libere e procederà con tempi e modi da stabilirsi, confermando però la volontà di proseguire con il progetto di trasformazione di 8 sedi da attività di Caring a ASO o CNA (quindi salvandole).

QUANDO?

L’azienda ha comunicato alle Segreterie Nazionali che il tempo necessario per creare la nuova società è di circa 4/5 mesi in quanto tutte le procedure preliminari necessarie sono piuttosto lunghe e nulla era stato predisposto nei mesi precedenti. Nemmeno per la chiusura delle sedi hanno dato tempi certi (hanno paventato che potrebbero procedere contestualmente alla nascita della nuova società). Nel corso dell’incontro l’AD Patuano ha infatti dichiarato che l’azienda non aveva in progetto la societarizzazione e che si ‘vedono costretti’ a procedere dagli eventi, questo cambio di direzione genererebbe quindi tempi lunghi. Tralasciando le sterili polemiche di chi in questi giorni accusa le RSU ed i lavoratori che hanno detto NO al ricatto aziendale di essere responsabili dell'eventuale societarizzazione, come RSU Slc-Cgil un’autocritica la vogliamo fare. Non è vero, come ci accusano, che abbiamo sottovalutato l’azienda, trattando con troppa leggerezza il tema societarizzazione, è vero invece l’esatto contrario: abbiamo sopravvalutato l’azienda pensando che avesse previsto un 'Piano B' in caso di bocciatura dell’Ipotesi di Accordo (sì perché quando si sottopone un Testo al giudizio dei lavoratori le opzioni sono due, non c’è solo il SI). Invece risulta evidente che non solo l’Azienda non aveva in testa questa opzione (detto dall’AD non dalle RSU della CGIL), ma, non avendo nemmeno preso in considerazione la possibilità che i lavoratori potessero ribellarsi, non si erano preparati a questa evenienza. Quindi, siccome devono dimostrare chi comanda, dichiarano di voler procedere con un’operazione (chiaramente punitiva e non industriale) che, nel breve, andrebbe nella direzione opposta a quella per cui dovrebbero farla: sì, perché nel breve creare una nuova società costerebbe di più, e soprattutto renderebbe 9000 lavoratori molto più arrabbiati e demotivati, non disponibili ad ulteriori sacrifici (a che pro?), ed in definitiva molto meno produttivi.

PERCHE’?

Ma allora perché prevedere la societarizzazione se in definitiva non porta risparmi né aumenti di produttività? L’azienda scrive che, in mancanza di un nuovo accordo, torna a quello vecchio (il 27 marzo). Falso! Il 27 marzo non prevede la societarizzazione ma semmai la evita. Nell’accordo del 27 marzo c’è scritto che con la Verifica avremmo costatato che fossero stati mantenuti tutti gli impegni presi (li abbiamo mantenuti) e se questi avessero sortito effetto (ed hanno sortito ottimi risultati: 60 MLN di risparmi). E comunque, al limite, avrebbero dovuto chiudere le sedi (quello sì previsto) e procedere con la verifica solo dopo. Non è vero nemmeno quello che sostengono alcuni, ovvero che sarebbe più facile procedere con l’esternalizzazione delle attività: Telecom negli anni ha proceduto a decine di cessioni di ramo d’azienda senza mai preoccuparsi prima di societarizzare, l’ha fatto e basta! Allora perché? Lo scrivono dopo, societarizzerebbero per rendere competitiva la nuova realtà aziendale con il contesto del settore di riferimento.’ Tradotto: costituendo la nuova società i lavoratori sarebbero maggiormente esposti e ricattabili in quanto emergerebbe la differenza di costi rispetto agli outsourcer, in quanto non più nascosti in mezzo ai meandri del bilancio di Telecom. Verrebbero in sostanza a dirci che costiamo di più rispetto agli outsourcer e ci ricatterebbero per ottenere condizioni di lavoro sempre più insostenibili (che novità!) in un contesto molto più complicato per noi, perché non saremmo più ‘la grande Telecom’ ma il più grande dei call-center d’Italia. Il lavoro c’è: le chiamate arrivano, il back-office è sempre in arretrato, stiamo reinternalizzando attività. In discussione in questa vicenda, nel breve-medio periodo, non sono i posti di lavoro ma le condizioni di lavoro. E, societarizzati o meno, fino a che non si risolverà il problema fuori, fino a che le condizioni ed il costo del lavoro degli outsourcer  continueranno a scendere inesorabilmente,  non finiranno mai di dirci che siamo fuori mercato e dobbiamo adeguarci.

COSA DOBBIAMO FARE NOI

La garanzia dei posti di lavoro in Telecom, non solo del caring quindi, passa solo attraverso il rilancio industriale dell’azienda. Se si continua a perdere un miliardo di fatturato l’anno di posti di lavoro ne salteranno tanti, in tutti i settori dell’azienda. Eppure sulle questioni cruciali che determineranno la tenuta dei livelli occupazionali di tutto il gruppo Telecom nel medio-lungo termine (il futuro della Rete e di Tim Brasil in primis) non si ha alcuna certezza. Nel frattempo l’azienda procederà con la societarizzazione delle Torri, quella sì sicura ed imminente, che oltre a generare un problema per i lavoratori coinvolti, va nella direzione sbagliata (vi ricordate il dramma della vendita degli immobili? La stessa cosa!). Purtroppo la soluzione dei problemi veri di Telecom non è nelle nostre disponibilità, ed quindi necessario fare accordi per guadagnare tempo, nella speranza che chi di dovere (azionisti, dirigenza aziendale e governi vari) sappia conciliare il rilancio del settore Tlc con il mantenimento dei posti di lavoro. I lavoratori di Telecom hanno già dimostrato di saper fare sacrifici in un contesto difficile per evitare scenari più drammatici. I sacrifici però devono essere utili e sostenibili. L’introduzione di questo modello organizzativo, funzionale all'aumento dei ritmi di lavoro attraverso l’esasperazione delle pressioni grazie allo sdoganamento del controllo individuale, sarebbe un sacrificio inutile e sbagliato. Il modello sarebbe esteso in un attimo a tutte le aziende del settore, rendendolo inefficace allo scopo di diminuire il gap con gli outsourcer, e risulterebbe utile solo a rendere insostenibili ritmi e tempi di lavoro in un mondo dove già oggi sono fin troppo intensi e generano forte stress (dati del Ministero).
I lavoratori con il loro NO si sono espressi chiaramente, non certo perché plagiati da qualche RSU, ma perché, vivendo la realtà del lavoro tutti i giorni, sanno quanto questo modello sarebbe potenzialmente devastante. Non è vero che l’unica soluzione per salvare il Caring passa attraverso l’esasperazione dei ritmi di lavoro. Ora è responsabilità di tutti, chi era per il SI e chi era per il NO, rimboccarsi le maniche e, in coerenza con il volere dei lavoratori che si sono espressi chiaramente con il loro voto, lavorare nell’interesse di tutti i lavoratori, respingendo con ogni mezzo possibile la societarizzazione e sforzandosi tutti insieme di trovare soluzioni sostenibili, per l’azienda e per i lavoratori. Non è il momento di dividersi, è il momento di restare tutti uniti e respingere il ricatto aziendale!