In queste ore stiamo assistendo ai paradossi più incredibili. I
vertici aziendali accecati dal fatto che qualcuno ha osato mettere in
discussione la loro parola, visto i risultati aziendali tanto ci sarebbe da
dire, si stanno prodigando in una serie d’iniziative “innovative” a sostegno
del referendum che hanno voluto e imposto.
Da un lato, una feroce campagna stampa in cui sono rilasciati
comunicati in tutte le realtà territoriali dove si esalta che, grazie alla
trattativa in corso, è possibile procedere alla non chiusura di alcune sedi. Nella
foga generale, poiché da qualche tempo sono abituati a mentire, succede
che in Liguria comunicano che anche la sede di Savona resterà aperta. Peccato
che quella sede è stata chiusa nel 2001.
Travolti dall’arroganza, dichiarano che l’accordo è pronto e vede la
sola opposizione della SLC CGIL: seconda menzogna perché la sottoscrizione
dell’accordo, di competenza delle RSU, richiede la maggioranza delle stesse e, a
oggi, l’azienda ne ha “convinte” poco più del 40%. Per questo ha
deciso di provare a terrorizzare i lavoratori con un referendum che sta gestendo
e organizzando in prima persona.
E così, dirigenti stipendiati con centinaia di migliaia di euro,
invece di preoccuparsi di migliorare il servizio ai clienti (basterebbe sondare
i clienti che chiamano il 119 per avere contezza di quanto basso sia il livello
della qualità e la disattenzione nei confronti dei clienti), invece di favorire
un cambio culturale che metta il cliente al centro dell’attenzione aziendale,
passano il loro tempo a fare assemblee dei lavoratori per promuover e favorire
un voto a un referendum i cui effetti sono inutili.
Il Customer Care (assistenza e soddisfazione del cliente)
rappresenta, infatti, un vero punto di svolta nella politica di un’azienda. Si
pensi alle fortune di Amazon che grazie al livello di qualità fornita ha avuto
un successo mondiale. Ma è possibile che se uno ha un problema con Amazon in 3
ore gli sia risolto mentre se ha un problema con Telecom non riesce ad avere
risposte?
Ed è pensabile che i clienti non riescano a parlare con gli operatori
perché le strategie aziendali sulla quantità a prescindere impongono
organizzazioni del lavoro in cui per percepire le Canvass s’impone agli
operatori di abbattere le chiamate?
Ed è normale che invece che continuare il confronto per costruire un
modello che coniughi la qualità del servizio erogato (che sarà il vero fattore
di successo per Telecom se vorrà invertire il trend di riduzione del fatturato)
con la soddisfazione di chi opera nel caring (precondizione per dare qualità
del servizio) si impegni il tempo di tutti i dirigenti per svolgere assemblee?
Forse l’assenza di un vero piano industriale che provi ad aggredire i
veri problemi di Telecom, dalla continua emorragia di fatturato e dalla
gestione degli appalti ormai completamente fuori controllo, determina le
condizioni per cui i dirigenti impieghino il loro tempo in questo modo.
Se esiste ancora qualcuno, all’interno dei vertici aziendali, che non
sia stato accecato dalla rabbia e abbia mantenuto un briciolo di lucidità, che
veramente abbia a cuore l’interesse aziendale, il suo futuro e i suoi risultati
economici si adoperi per riaprire il confronto e trovare le migliori soluzioni
alle problematiche poste dai clienti e dai lavoratori.
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