Il 6 febbraio TELECOM, dopo averlo comunicato in un apposito incontro
con le Segreterie Nazionali, ha emanato un comunicato stampa con cui, prendendo
atto dell’esito negativo del referendum, dichiara l’avvio di ‘una
razionalizzazione delle sedi territoriali di Caring Services, con la chiusura
di alcuni presidi territoriali e la costituzione di una distinta società per
l’erogazione dei servizi di caring alla clientela.’
Il 18 febbraio è previsto un altro incontro tra TELECOM e Segreterie Nazionali.
COSA VOGLIONO
FARE?
L’azienda ha
comunicato di voler procedere alla creazione di una new.co sul modello
già seguito in occasione della societarizzazione dell’informatica quando fu
costituita l’attuale TI.IT. In sostanza significa che verrà creata una società ad
hoc in cui confluiranno tutte le attività svolte nella Divisione Caring con
i relativi lavoratori. Quindi non ci sarebbe un contratto d’appalto tra Telecom
e la new.co (con il conseguente problema di una data di scadenza dello
stesso) ma la nuova società sarebbe depositaria in prima battuta di tutte le
attività di caring di Telecom (per intenderci sarebbe la nuova società a
gestire gli appalti con Telecontact e gli outsourcer stabilendo quanto e
quale lavoro eventualmente debba essere dato all’esterno). Come previsto dalla
legge (Art. 2112 del codice civile) non ci sarebbe alcuna decurtazione a
livello di salario (nemmeno i ticket) e, sempre secondo il modello TI.IT che
l’azienda ha detto di voler seguire, non vi sarebbe nessun impatto sui vari
istituti contrattuali (Telemaco, Assilt ecc). Per quanto riguarda la questione
delle sedi in chiusura l’azienda da un lato ha scritto nel comunicato di voler
procedere con quanto stabilito il 27 marzo (chiusura di 47 sedi), dall’altro ha
detto (nell’incontro con le Segreterie Nazionali) che si tiene le mani libere e
procederà con tempi e modi da stabilirsi, confermando però la volontà di
proseguire con il progetto di trasformazione di 8 sedi da attività di Caring a
ASO o CNA (quindi salvandole).
QUANDO?
L’azienda ha
comunicato alle Segreterie Nazionali che il tempo necessario per creare la
nuova società è di circa 4/5 mesi in quanto tutte le procedure preliminari
necessarie sono piuttosto lunghe e nulla era stato predisposto nei mesi
precedenti. Nemmeno per la chiusura delle sedi hanno dato tempi certi (hanno
paventato che potrebbero procedere contestualmente alla nascita della nuova
società). Nel corso dell’incontro l’AD Patuano ha infatti dichiarato che
l’azienda non aveva in progetto la societarizzazione e che si ‘vedono
costretti’ a procedere dagli eventi, questo cambio di direzione genererebbe quindi
tempi lunghi. Tralasciando le sterili polemiche di chi in questi giorni accusa
le RSU ed i lavoratori che hanno detto NO al ricatto aziendale di essere
responsabili dell'eventuale societarizzazione, come RSU Slc-Cgil un’autocritica
la vogliamo fare. Non è vero, come ci accusano, che abbiamo sottovalutato
l’azienda, trattando con troppa leggerezza il tema societarizzazione, è vero
invece l’esatto contrario: abbiamo sopravvalutato l’azienda pensando che avesse
previsto un 'Piano B' in caso di bocciatura dell’Ipotesi di Accordo (sì perché
quando si sottopone un Testo al giudizio dei lavoratori le opzioni sono due,
non c’è solo il SI). Invece risulta evidente che non solo l’Azienda non aveva
in testa questa opzione (detto dall’AD non dalle RSU della CGIL), ma, non
avendo nemmeno preso in considerazione la possibilità che i lavoratori
potessero ribellarsi, non si erano preparati a questa evenienza. Quindi,
siccome devono dimostrare chi comanda, dichiarano di voler procedere con
un’operazione (chiaramente punitiva e non industriale) che, nel breve, andrebbe
nella direzione opposta a quella per cui dovrebbero farla: sì, perché nel breve
creare una nuova società costerebbe di più, e soprattutto renderebbe 9000
lavoratori molto più arrabbiati e demotivati, non disponibili ad ulteriori
sacrifici (a che pro?), ed in definitiva molto meno produttivi.
PERCHE’?
Ma allora
perché prevedere la societarizzazione se in definitiva non porta risparmi né
aumenti di produttività? L’azienda scrive che, in mancanza di un nuovo accordo,
torna a quello vecchio (il 27 marzo). Falso! Il 27 marzo non prevede la
societarizzazione ma semmai la evita. Nell’accordo del 27 marzo c’è scritto che
con la Verifica avremmo costatato che fossero stati mantenuti tutti gli impegni
presi (li abbiamo mantenuti) e se questi avessero sortito effetto (ed hanno
sortito ottimi risultati: 60 MLN di risparmi). E comunque, al limite, avrebbero
dovuto chiudere le sedi (quello sì previsto) e procedere con la verifica solo
dopo. Non è vero nemmeno quello che sostengono alcuni, ovvero che sarebbe più
facile procedere con l’esternalizzazione delle attività: Telecom negli anni ha
proceduto a decine di cessioni di ramo d’azienda senza mai preoccuparsi prima
di societarizzare, l’ha fatto e basta! Allora perché? Lo scrivono dopo,
societarizzerebbero per ‘rendere competitiva la nuova realtà aziendale con
il contesto del settore di riferimento.’ Tradotto: costituendo la nuova
società i lavoratori sarebbero maggiormente esposti e ricattabili in quanto
emergerebbe la differenza di costi rispetto agli outsourcer, in quanto
non più nascosti in mezzo ai meandri del bilancio di Telecom. Verrebbero in
sostanza a dirci che costiamo di più rispetto agli outsourcer e ci
ricatterebbero per ottenere condizioni di lavoro sempre più insostenibili (che
novità!) in un contesto molto più complicato per noi, perché non saremmo più
‘la grande Telecom’ ma il più grande dei call-center d’Italia. Il lavoro c’è:
le chiamate arrivano, il back-office è sempre in arretrato, stiamo
reinternalizzando attività. In discussione in questa vicenda, nel breve-medio
periodo, non sono i posti di lavoro ma le condizioni di lavoro. E,
societarizzati o meno, fino a che non si risolverà il problema fuori, fino a
che le condizioni ed il costo del lavoro degli outsourcer continueranno a scendere
inesorabilmente, non finiranno mai di
dirci che siamo fuori mercato e dobbiamo adeguarci.
COSA DOBBIAMO
FARE NOI
La garanzia dei
posti di lavoro in Telecom, non solo del caring quindi, passa solo attraverso
il rilancio industriale dell’azienda. Se si continua a perdere un miliardo di
fatturato l’anno di posti di lavoro ne salteranno tanti, in tutti i settori
dell’azienda. Eppure sulle questioni cruciali che determineranno la tenuta dei
livelli occupazionali di tutto il gruppo Telecom nel medio-lungo termine (il
futuro della Rete e di Tim Brasil in primis) non si ha alcuna certezza. Nel
frattempo l’azienda procederà con la societarizzazione delle Torri, quella sì
sicura ed imminente, che oltre a generare un problema per i lavoratori
coinvolti, va nella direzione sbagliata (vi ricordate il dramma della vendita
degli immobili? La stessa cosa!). Purtroppo la soluzione dei problemi veri di
Telecom non è nelle nostre disponibilità, ed quindi necessario fare accordi per
guadagnare tempo, nella speranza che chi di dovere (azionisti, dirigenza
aziendale e governi vari) sappia conciliare il rilancio del settore Tlc con il
mantenimento dei posti di lavoro. I lavoratori di Telecom hanno già dimostrato
di saper fare sacrifici in un contesto difficile per evitare scenari più
drammatici. I sacrifici però devono essere utili e sostenibili. L’introduzione
di questo modello organizzativo, funzionale all'aumento dei ritmi di lavoro
attraverso l’esasperazione delle pressioni grazie allo sdoganamento del
controllo individuale, sarebbe un sacrificio inutile e sbagliato. Il modello
sarebbe esteso in un attimo a tutte le aziende del settore, rendendolo
inefficace allo scopo di diminuire il gap con gli outsourcer, e
risulterebbe utile solo a rendere insostenibili ritmi e tempi di lavoro in un
mondo dove già oggi sono fin troppo intensi e generano forte stress (dati del
Ministero).
I lavoratori
con il loro NO si sono espressi chiaramente, non certo perché plagiati da
qualche RSU, ma perché, vivendo la realtà del lavoro tutti i giorni, sanno
quanto questo modello sarebbe potenzialmente devastante. Non è vero che l’unica
soluzione per salvare il Caring passa attraverso l’esasperazione dei ritmi di
lavoro. Ora è responsabilità di tutti, chi era per il SI e chi era per il NO,
rimboccarsi le maniche e, in coerenza con il volere dei lavoratori che si sono
espressi chiaramente con il loro voto, lavorare nell’interesse di tutti i
lavoratori, respingendo con ogni mezzo possibile la societarizzazione e
sforzandosi tutti insieme di trovare soluzioni sostenibili, per l’azienda e per
i lavoratori. Non è il momento di dividersi, è il momento di restare tutti
uniti e respingere il ricatto aziendale!
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