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mercoledì 27 gennaio 2016

27 gennaio GIORNO DELLA MEMORIA

Piccoli passi per portare alla Memoria anche questo olocausto.
Come Slc Cgil Milano, vogliamo ricordare, in occasione della “Giornata della Memoria” l'olocausto dimenticato degli rom e sinti, quest'anno per la prima volta il 2 agosto è stata istituita la giornata europea in memoria dell'olocausto rom e sinti (più di 500.000); 71 anni fa, il 2 agosto del 1944i 2.897 rom dello Zigeurlager (le baracche degli "zingari") di Auschwitz- Birkenau sparirono in una notte nei forni crematori, vi alleghiamo un documento che ricorda alcuni degli avvenimenti che hanno interessato le popolazioni Rom e Sinti europee.
Dopo aver ricordato doverosamente la Shoa, negli ultimi anni abbiamo pensato di dare il nostro piccolo contributo per conservare la memoria riflettendo sulle stragi dimenticate.
Due anni fa, richiamando lo spettacolo Ausmerzen vite indegne di essere vissute, abbiamo ricordato la strage dei disabili e di come negli ospedali tedeschi applicassero la soluzione finale. L'anno scorso ci siamo soffermati sul cosiddetto Omocausto, l'olocausto degli omosessuali.
​​Riprendendo queste storie e raccontandole vorremmo cercare di rendere giustizia nei ricordi di quanto accadde, non solo al popolo ebraico. Non dobbiamo
dimenticare quanto atroce sia stata la realtà non troppo tempo fa per non ripetere, per essere allerta e non accettare nessun attacco alla democrazia e alla nostra Costituzione. Per non permettere alla politica “dell'odio per il diverso" di parlare per noinon permettere di parlare alle paure e alle ignoranze.
Per non ignorare, per controbattere ai nuovi e possibili fascismi e nazismi di oggi e domani.

«Noi Roma e Sinti siamo come i fiori di questa terra.
Ci possono calpestare,
ci possono eradicare, gassare,
ci possono bruciare,
ci possono ammazzare -
ma come i fiori noi torniamo comunque sempre...»

Karl Stojka

giovedì 12 febbraio 2015

IL CARING DOPO IL REFERENDUM

Il 6 febbraio TELECOM, dopo averlo comunicato in un apposito incontro con le Segreterie Nazionali, ha emanato un comunicato stampa con cui, prendendo atto dell’esito negativo del referendum, dichiara l’avvio di ‘una razionalizzazione delle sedi territoriali di Caring Services, con la chiusura di alcuni presidi territoriali e la costituzione di una distinta società per l’erogazione dei servizi di caring alla clientela.
Il 18 febbraio è previsto un altro incontro tra TELECOM e Segreterie Nazionali.

COSA VOGLIONO FARE?

L’azienda ha comunicato di voler procedere alla creazione di una new.co sul modello già seguito in occasione della societarizzazione dell’informatica quando fu costituita l’attuale TI.IT. In sostanza significa che verrà creata una società ad hoc in cui confluiranno tutte le attività svolte nella Divisione Caring con i relativi lavoratori. Quindi non ci sarebbe un contratto d’appalto tra Telecom e la new.co (con il conseguente problema di una data di scadenza dello stesso) ma la nuova società sarebbe depositaria in prima battuta di tutte le attività di caring di Telecom (per intenderci sarebbe la nuova società a gestire gli appalti con Telecontact e gli outsourcer stabilendo quanto e quale lavoro eventualmente debba essere dato all’esterno). Come previsto dalla legge (Art. 2112 del codice civile) non ci sarebbe alcuna decurtazione a livello di salario (nemmeno i ticket) e, sempre secondo il modello TI.IT che l’azienda ha detto di voler seguire, non vi sarebbe nessun impatto sui vari istituti contrattuali (Telemaco, Assilt ecc). Per quanto riguarda la questione delle sedi in chiusura l’azienda da un lato ha scritto nel comunicato di voler procedere con quanto stabilito il 27 marzo (chiusura di 47 sedi), dall’altro ha detto (nell’incontro con le Segreterie Nazionali) che si tiene le mani libere e procederà con tempi e modi da stabilirsi, confermando però la volontà di proseguire con il progetto di trasformazione di 8 sedi da attività di Caring a ASO o CNA (quindi salvandole).

QUANDO?

L’azienda ha comunicato alle Segreterie Nazionali che il tempo necessario per creare la nuova società è di circa 4/5 mesi in quanto tutte le procedure preliminari necessarie sono piuttosto lunghe e nulla era stato predisposto nei mesi precedenti. Nemmeno per la chiusura delle sedi hanno dato tempi certi (hanno paventato che potrebbero procedere contestualmente alla nascita della nuova società). Nel corso dell’incontro l’AD Patuano ha infatti dichiarato che l’azienda non aveva in progetto la societarizzazione e che si ‘vedono costretti’ a procedere dagli eventi, questo cambio di direzione genererebbe quindi tempi lunghi. Tralasciando le sterili polemiche di chi in questi giorni accusa le RSU ed i lavoratori che hanno detto NO al ricatto aziendale di essere responsabili dell'eventuale societarizzazione, come RSU Slc-Cgil un’autocritica la vogliamo fare. Non è vero, come ci accusano, che abbiamo sottovalutato l’azienda, trattando con troppa leggerezza il tema societarizzazione, è vero invece l’esatto contrario: abbiamo sopravvalutato l’azienda pensando che avesse previsto un 'Piano B' in caso di bocciatura dell’Ipotesi di Accordo (sì perché quando si sottopone un Testo al giudizio dei lavoratori le opzioni sono due, non c’è solo il SI). Invece risulta evidente che non solo l’Azienda non aveva in testa questa opzione (detto dall’AD non dalle RSU della CGIL), ma, non avendo nemmeno preso in considerazione la possibilità che i lavoratori potessero ribellarsi, non si erano preparati a questa evenienza. Quindi, siccome devono dimostrare chi comanda, dichiarano di voler procedere con un’operazione (chiaramente punitiva e non industriale) che, nel breve, andrebbe nella direzione opposta a quella per cui dovrebbero farla: sì, perché nel breve creare una nuova società costerebbe di più, e soprattutto renderebbe 9000 lavoratori molto più arrabbiati e demotivati, non disponibili ad ulteriori sacrifici (a che pro?), ed in definitiva molto meno produttivi.

PERCHE’?

Ma allora perché prevedere la societarizzazione se in definitiva non porta risparmi né aumenti di produttività? L’azienda scrive che, in mancanza di un nuovo accordo, torna a quello vecchio (il 27 marzo). Falso! Il 27 marzo non prevede la societarizzazione ma semmai la evita. Nell’accordo del 27 marzo c’è scritto che con la Verifica avremmo costatato che fossero stati mantenuti tutti gli impegni presi (li abbiamo mantenuti) e se questi avessero sortito effetto (ed hanno sortito ottimi risultati: 60 MLN di risparmi). E comunque, al limite, avrebbero dovuto chiudere le sedi (quello sì previsto) e procedere con la verifica solo dopo. Non è vero nemmeno quello che sostengono alcuni, ovvero che sarebbe più facile procedere con l’esternalizzazione delle attività: Telecom negli anni ha proceduto a decine di cessioni di ramo d’azienda senza mai preoccuparsi prima di societarizzare, l’ha fatto e basta! Allora perché? Lo scrivono dopo, societarizzerebbero per rendere competitiva la nuova realtà aziendale con il contesto del settore di riferimento.’ Tradotto: costituendo la nuova società i lavoratori sarebbero maggiormente esposti e ricattabili in quanto emergerebbe la differenza di costi rispetto agli outsourcer, in quanto non più nascosti in mezzo ai meandri del bilancio di Telecom. Verrebbero in sostanza a dirci che costiamo di più rispetto agli outsourcer e ci ricatterebbero per ottenere condizioni di lavoro sempre più insostenibili (che novità!) in un contesto molto più complicato per noi, perché non saremmo più ‘la grande Telecom’ ma il più grande dei call-center d’Italia. Il lavoro c’è: le chiamate arrivano, il back-office è sempre in arretrato, stiamo reinternalizzando attività. In discussione in questa vicenda, nel breve-medio periodo, non sono i posti di lavoro ma le condizioni di lavoro. E, societarizzati o meno, fino a che non si risolverà il problema fuori, fino a che le condizioni ed il costo del lavoro degli outsourcer  continueranno a scendere inesorabilmente,  non finiranno mai di dirci che siamo fuori mercato e dobbiamo adeguarci.

COSA DOBBIAMO FARE NOI

La garanzia dei posti di lavoro in Telecom, non solo del caring quindi, passa solo attraverso il rilancio industriale dell’azienda. Se si continua a perdere un miliardo di fatturato l’anno di posti di lavoro ne salteranno tanti, in tutti i settori dell’azienda. Eppure sulle questioni cruciali che determineranno la tenuta dei livelli occupazionali di tutto il gruppo Telecom nel medio-lungo termine (il futuro della Rete e di Tim Brasil in primis) non si ha alcuna certezza. Nel frattempo l’azienda procederà con la societarizzazione delle Torri, quella sì sicura ed imminente, che oltre a generare un problema per i lavoratori coinvolti, va nella direzione sbagliata (vi ricordate il dramma della vendita degli immobili? La stessa cosa!). Purtroppo la soluzione dei problemi veri di Telecom non è nelle nostre disponibilità, ed quindi necessario fare accordi per guadagnare tempo, nella speranza che chi di dovere (azionisti, dirigenza aziendale e governi vari) sappia conciliare il rilancio del settore Tlc con il mantenimento dei posti di lavoro. I lavoratori di Telecom hanno già dimostrato di saper fare sacrifici in un contesto difficile per evitare scenari più drammatici. I sacrifici però devono essere utili e sostenibili. L’introduzione di questo modello organizzativo, funzionale all'aumento dei ritmi di lavoro attraverso l’esasperazione delle pressioni grazie allo sdoganamento del controllo individuale, sarebbe un sacrificio inutile e sbagliato. Il modello sarebbe esteso in un attimo a tutte le aziende del settore, rendendolo inefficace allo scopo di diminuire il gap con gli outsourcer, e risulterebbe utile solo a rendere insostenibili ritmi e tempi di lavoro in un mondo dove già oggi sono fin troppo intensi e generano forte stress (dati del Ministero).
I lavoratori con il loro NO si sono espressi chiaramente, non certo perché plagiati da qualche RSU, ma perché, vivendo la realtà del lavoro tutti i giorni, sanno quanto questo modello sarebbe potenzialmente devastante. Non è vero che l’unica soluzione per salvare il Caring passa attraverso l’esasperazione dei ritmi di lavoro. Ora è responsabilità di tutti, chi era per il SI e chi era per il NO, rimboccarsi le maniche e, in coerenza con il volere dei lavoratori che si sono espressi chiaramente con il loro voto, lavorare nell’interesse di tutti i lavoratori, respingendo con ogni mezzo possibile la societarizzazione e sforzandosi tutti insieme di trovare soluzioni sostenibili, per l’azienda e per i lavoratori. Non è il momento di dividersi, è il momento di restare tutti uniti e respingere il ricatto aziendale!


giovedì 4 dicembre 2014

Vertenza Caring Service di Telecom Italia: Quando l’arroganza offusca la lucidità i danni sono incalcolabili

In queste ore stiamo assistendo ai paradossi più incredibili. I vertici aziendali accecati dal fatto che qualcuno ha osato mettere in discussione la loro parola, visto i risultati aziendali tanto ci sarebbe da dire, si stanno prodigando in una serie d’iniziative “innovative” a sostegno del referendum che hanno voluto e imposto.

Da un lato, una feroce campagna stampa in cui sono rilasciati comunicati in tutte le realtà territoriali dove si esalta che, grazie alla trattativa in corso, è possibile procedere alla non chiusura di alcune sedi. Nella foga generale, poiché da qualche tempo sono abituati a mentire, succede che in Liguria comunicano che anche la sede di Savona resterà aperta. Peccato che quella sede è stata chiusa nel 2001.

Travolti dall’arroganza, dichiarano che l’accordo è pronto e vede la sola opposizione della SLC CGIL: seconda menzogna perché la sottoscrizione dell’accordo, di competenza delle RSU, richiede la maggioranza delle stesse e, a oggi, l’azienda ne ha “convinte” poco più del 40%. Per questo ha deciso di provare a terrorizzare i lavoratori con un referendum che sta gestendo e organizzando in prima persona.

E così, dirigenti stipendiati con centinaia di migliaia di euro, invece di preoccuparsi di migliorare il servizio ai clienti (basterebbe sondare i clienti che chiamano il 119 per avere contezza di quanto basso sia il livello della qualità e la disattenzione nei confronti dei clienti), invece di favorire un cambio culturale che metta il cliente al centro dell’attenzione aziendale, passano il loro tempo a fare assemblee dei lavoratori per promuover e favorire un voto a un referendum i cui effetti sono inutili.

Il Customer Care (assistenza e soddisfazione del cliente) rappresenta, infatti, un vero punto di svolta nella politica di un’azienda. Si pensi alle fortune di Amazon che grazie al livello di qualità fornita ha avuto un successo mondiale. Ma è possibile che se uno ha un problema con Amazon in 3 ore gli sia risolto mentre se ha un problema con Telecom non riesce ad avere risposte?

Ed è pensabile che i clienti non riescano a parlare con gli operatori perché le strategie aziendali sulla quantità a prescindere impongono organizzazioni del lavoro in cui per percepire le Canvass s’impone agli operatori di abbattere le chiamate?

Ed è normale che invece che continuare il confronto per costruire un modello che coniughi la qualità del servizio erogato (che sarà il vero fattore di successo per Telecom se vorrà invertire il trend di riduzione del fatturato) con la soddisfazione di chi opera nel caring (precondizione per dare qualità del servizio) si impegni il tempo di tutti i dirigenti per svolgere assemblee?

Forse l’assenza di un vero piano industriale che provi ad aggredire i veri problemi di Telecom, dalla continua emorragia di fatturato e dalla gestione degli appalti ormai completamente fuori controllo, determina le condizioni per cui i dirigenti impieghino il loro tempo in questo modo.

Se esiste ancora qualcuno, all’interno dei vertici aziendali, che non sia stato accecato dalla rabbia e abbia mantenuto un briciolo di lucidità, che veramente abbia a cuore l’interesse aziendale, il suo futuro e i suoi risultati economici si adoperi per riaprire il confronto e trovare le migliori soluzioni alle problematiche poste dai clienti e dai lavoratori.

mercoledì 3 dicembre 2014

Caring Service di Telecom Italia - UN REFERENDUM ILLEGITTIMO

Quando il datore di lavoro chiama qualcuno risponde …. anche violando le leggi


La vertenza inerente al futuro del “Caring Service”, che discende dalla verifica prevista dagli accordi del 27 marzo 2013, ha assunto aspetti inquietanti.

Mentre era in corso una trattativa per analizzare le possibilità di archiviare definitivamente il progetto di societarizzazione avanzato da Telecom, trattativa anomala perché in parallelo l’azienda convocava riunioni di lavoratori per illustrare il progetto che intendeva realizzare, improvvisamente Telecom ha dichiarato terminato il confronto notificando, nella serata di martedì 25 novembre, che o si procedeva alla firma dell’accordo o sarebbero state avviate le procedure per societarizzare la divisione caring service.

SLC CGIL ha evidenziato la necessità di continuare il confronto rivendicando l’esigenza di raggiungere le necessarie garanzie affinché il modello di “caring” del futuro consenta un miglioramento delle condizioni di vita del personale oggi impiegato che denuncia da tempo condizioni di lavoro complessivamente non sopportabili.

L’azienda ha, invece, preteso di prescrivere un modello che, in violazione all’articolo 57 del CCNL, introduce il tema del controllo individuale a distanza per imporre un aumento della produttività individuale e creare condizioni di lavoro inaccettabili, oltre che a peggiorare ulteriormente il già pessimo servizio offerto ai clienti che è una delle principali cause della contrazione di fatturato dell’azienda.

Altre Organizzazioni Sindacali si sono dichiarate, in nome della mancata societarizzazione che Telecom non riesce a richiamare nemmeno nel comunicato con cui annuncia / impone il referendum, disponibili a sottoscrivere l’accordo anche in maniera separata.

Lunedì 1 dicembre, mentre SLC confermava coerentemente la propria posizione, l’azienda ha costruito un percorso, totalmente fuori dalle regole vigenti, per scaricare sui lavoratori, attraverso la promozione di un referendum il seguente quesito: volete essere societarizzati oppure accettate le nuove regole imposte dall’accordo che prevedono, nel complesso, un peggioramento delle vostre condizioni abbandonando definitivamente l’idea di migliorare il servizio ai clienti?


In altre parole, il nuovo corso di “People Value” (ndr ‐ valore alle persone) ha impresso una svolta di recente memoria in cui un altro imprenditore ha costretto i lavoratori a un ricatto (o l’accordo o si chiude lo stabilimento) per poi fuggire ugualmente dall’Italia.

Solo che Telecom non potrà delocalizzare le proprie attività.

Per condizionare i lavoratori e il giudizio di SLC CGIL l’azienda ha scelto di forzare tutte le norme di legge e gli accordi esistenti. Infatti, tale percorso è completamente avulso dalle regole che le parti si sono date con la sottoscrizione del protocollo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, che prevede che un accordo sia tale quando sottoscritto dalla maggioranza delle RSU elette e dallo Statuto dei Lavoratori (articolo 21) che definisce le regole per il referendum con la condizione che sia promosso da tutte le rappresentanze sindacali presenti in azienda, per ovvi motivi di trasparenza e democrazia, e non sia condizionato dagli atteggiamenti aziendali.

Siccome le regole e le leggi non sono confacenti a chi vuole costringere i lavoratori ad accettare un ricatto, l’azienda pensa bene di mobilitarsi in prima persona “invitando” i lavoratori a votare si al referendum pena l’avvio della societarizzazione del “caring”, che viene ripetuta da alcune organizzazioni sindacali e non richiamata dall’azienda.

E’ così evidente l’imposizione aziendale che le organizzazioni sindacali che propongono il referendum non hanno nemmeno il coraggio di chiamarlo con il nome proprio (consultazione!!!!) mentre il vero organizzatore, l’azienda, mette nero su bianco il fatto che delle regole se ne frega.

Siamo alla presenza di un atto illegittimo e privo di valore perché è evidente che un referendum promosso unicamente con lo scopo di coercizzare la volontà dei lavoratori è anti democratico e discriminatorio, totalmente privo di trasparenza perché sarà gestito unicamente dai soggetti che, in combutta tra di loro, hanno deciso di piegare la volontà dei lavoratori.

E’ evidente che per SLC CGIL essendo tale referendum illegittimo è privo di ogni valore e pertanto inutile e inefficace perché non permetterà una vera espressione di volontà e sarà caratterizzato dalle minacce, più o meno pressanti, che i vertici aziendali attiveranno.

SLC CGIL si attiene alle regole definite, pertanto qualunque sia il risultato del referendum, l’accordo sarà sottoscrivibile e valido solo alla presenza della firma della metà più uno delle RSU elette, esattamente come previsto dal “testo unico sulla rappresentanza” sottoscritto da tutte le parti e che Telecom ha deciso di non riconoscere e rispettare, dimostrando un’arroganza priva di decenza.

Pertanto, SLC CGIL avvierà una campagna di assemblee di tutti i lavoratori coinvolti, spiegando le proprie ragioni e valutando con loro le modifiche necessarie al raggiungimento di un accordo complessivo.

Per questo SLC CGIL invita i lavoratori a non prestarsi al ricatto aziendale e non partecipare al referendum che sarà indetto.

Referendum illegittimo che scarica sulla paura dei lavoratori l’incapacità aziendale a mediare per costruire soluzioni condivise e l’arroganza di chi vorrebbe imporre un accordo pur non rappresentando la maggioranza dei lavoratori.

In quest’ambito, SLC CGIL avvierà tutte le iniziative legali necessarie a garantire il rispetto delle regole e delle legalità anche all’interno del mondo di lavoro e di Telecom.

SLC CGIL ha dimostrato in questi anni di saper assumersi le proprie responsabilità sottoscrivendo intese, prima fra tutte quella raggiunta con Telecom il 27 marzo 2013, che sono state oggetto di apprezzamento da parte di tutto il mondo imprenditoriale e analizzate come modello vincente di relazioni industriali.

SLC CGIL è ancora su quella posizione ma non potrà mai sottoscrivere un’intesa che prevarichi i diritti e le prerogative riconosciute ai lavoratori attraverso accordi che ne peggiorino le condizioni di vita quotidiane.

Forse Telecom non è più quell’azienda!

I lavoratori hanno una grande occasione per far sentire le proprie ragioni all’Azienda e a tutte le Organizzazioni Sindacali.

Disertare il referendum non rappresenta la causa per avviare il processo di societarizzazione, come mentendo sarà ripetuto in questi giorni, ma l’unica opportunità per riaprire la trattativa e giungere alla sottoscrizione di un accordo che veda la condivisione di tutti gli attori coinvolti.

Se Telecom Italia ha deciso di cambiare pelle calpestando tutte le regole di convivenza civile che regolano il mondo del lavoro sappia che troverà l’ostinata opposizione di SLC CGIL.

I lavoratori e le lavoratrici di Telecom oggi hanno una grande occasione: disertare il referendum

imporre la riapertura della trattativa per migliorare le loro condizioni.

giovedì 30 ottobre 2014

All'eurodeputata PINA PICIERNO

Gentile eurodeputata Pina Picierno, io sono un RSU (rappresentante sindacale unitario) di Telecom Italia. Mi chiamo Sergio Paoli
Lei ieri ha detto che noi in CGIL facciamo tessere false. 
Io faccio le tessere, quindi Lei ieri mi ha dato del falsario. 
Ora, dal suo breve (Lei è del 1981) e prestigioso curriculum (http://it.wikipedia.org/wiki/Pina_Picierno), leggo che Lei ha svolto molta attività politica ad alto livello. 
Mi chiedo se è mai stata in un call center a lavorare (non in un fabbrica, per l'amor di dio!), o nella cucina di una mensa aziendale, per esempio.
 Perchè, sa, le tessere noi le facciamo nei luoghi di lavoro. Il lavoratore o la lavoratrice che vuole aderire al sindacato compila un modulo, lo firma e lo consegna in azienda, che provvederà ad applicare la trattenuta a beneficio del sindacato in busta paga. 
Forse non lo sapeva, ma potrà rendersi conto che è difficile immaginare che ci sia qualcosa di falso in questo processo. Proprio oggi ho fatto due iscrizioni nuove, grazie alle Sue affermazioni sulle "tessere false" di ieri, e La ringrazio. 
Se lo desidera, ho l'elenco con i nomi e i cognomi degli iscritti del mio luogo di lavoro, con i recapiti telefonici. Può chiamarli, se vuole, per chiedere loro se ritengono di avere tessere false.

Sulla faccenda dei "pulmann pagati" per la manifestazione dello scorso 25 ottobre, beh, sa, non tutti hanno lo stipendio da eurodeputati e i rimborsi spese di viaggio come Lei, e se vogliono venire a manifestare perché ritengono di avere dei diritti da difendere, la CGIL ritiene di usare i soldi di quegli stessi lavoratori che sottoscrivono le tessere anche per offrire pulmann gratuiti per chi volesse venire a Roma. A me piacerebbe tanto sapere chi pagato la Leopolda, sa.

La prossima volta, Le auguro di pensare, prima parlare.